Una precarietà dilagante, risorse per il settore sempre più asfittiche anche a fronte dei ricavi complessivi sbandierati dai grandi gruppi, norme inattuali in una realtà in continua evoluzione. Sono i temi di una grande “vertenza informazione” che si annuncia vitale, alla ripartenza del Paese dopo l’emergenza Covid-19, per la tutela dei principi costituzionalmente garantiti del lavoro, della libertà di stampa, del diritto di informazione e di critica per la corretta formazione dell’opinione pubblica e il concreto esercizio della sovranità popolare.
Continuano in questi giorni i segnali di stress nel settore che sta svolgendo, nell’emergenza, un ruolo fondamentale per la conoscenza collettiva dei fatti: temi che abbiamo già affrontato qui. Ma proprio l’emergenza sta dimostrando come l’informazione giornalistica sia un solido presidio della libertà e della democrazia contro le manipolazioni dell’opinione pubblica: se esisteva un tempo il “far west” dell’etere, quella in cui viviamo oggi è una molto più vasta e pericolosa “giungla digitale” in cui il giornalista combatte ogni giorno contro le insidie delle fake news, e anche contro la tentazione della “comunicazione diretta” che, saltando la mediazione critica giornalistica, è la portatrice sana del ”virus della bufala”.
E come sempre succede, fra tutti i lavoratoti che pagano il costo delle crisi, quelle vere e quelle opportunisticamente create, il peso più alto lo porta sulle spalle la parte più debole dei lavoratori, gli autonomi: senza ammortizzatori sociali e “zavorra” facile da scaricare a terra. Una discesa dei diritti, delle garanzie e delle opportunità di lavoro che, nel settore dell’informazione, vuol dire anche crollo degli indici di democrazia. Oggi il lavoro giornalistico al di fuori delle garanzie di un contratto di lavoro e di una scrivania in una redazione è la parte maggioritaria, il corpo dell’iceberg, la trincea che permette al sistema dell’informazione di assicurare forza e credibilità contro l’avanzata della “comunicazione diretta” e del “virus della bufala”. Ma un giornalista indebolito nei diritti e nelle tutele è una ferita nel corpo della democrazia: senza informazione libera e non ricattabile non ci può essere un corretto e completo esercizio della sovranità popolare.
La vecchia tesi, che nel passato anche recente ha affascinato più di qualcuno pure tra le fila della nostra categoria, secondo cui difendere il “fortino” di un nucleo pur ristretto di “garantiti” basterebbe a tenere alto il livello delle tutele per tutti, mostra oggi tutti i suoi già evidenti limiti. Lo smart working nato oggi, complice l’emergenza, rischia di trasformarsi domani, complice l’assenza di regole, in consolidato strumento di organizzazione del lavoro, di divisione e di marginalizzazione dei lavoratori.
Gli sforzi compiuti in questi giorni per rispondere alla fame delle persone di notizie certe e verificate, nel contesto di un’emergenza che è piovuta all’improvviso sul bagnato di una crisi in atto da tempo, ci fa capire come anche l’informazione – al pari della sanità pubblica, del cui ruolo essenziale ora tanto si parla, senza dimenticarci però anche dell’istruzione, della cultura e della ricerca – sia un bene primario che è stato oggetto nell’ultimo quarto di secolo di una miope svendita. Non verrà dagli influencer il patrimonio di idee, valori e competenze in grado di essere le colonne portanti del Paese, quando si tratterà di ricostruirne il tessuto economico e sociale dopo la pandemia.
Per questo è importate avviare una “vertenza informazione” che ponga al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica nuove regole di sistema e una rete di tutele che contribuisca al disegno di nuovi strumenti di protezione sociale per una fascia, oggi maggioritaria, di lavoratori che attualmente ne è sprovvista. Andando al di là di quelli che rappresentano oggi i sostegni interni al sistema professionale (i primi, perché altri ne dovranno seguire) e gli interventi pubblici per far fronte alla crisi dei lavoratori autonomi determinata dal Covid-19. Una “vertenza informazione” che non potrà e non dovrà essere solo la bandiera di una categoria, ma una coscienza collettiva di lotta per la tutela dei principi democratici.
Che occorra dare una risposta ancor più efficace e duratura ai primi provvedimenti di sostegno immediato al reddito degli autonomi di questi giorni, appare ora a tutti evidente. Che questo debba poi tradursi in politiche sociali anche a livello territoriale è una necessità su cui già qualcuno sta iniziando a ragionare. Il territorio, l’istanza più vicina e immediatamente percepibile dal cittadino, dove opera la rete più estesa dell’informazione professionale, quella dei cronisti formatisi o cresciuti nell’era dei nuovi giornalismi multimediali, può essere il primo stadio di quel futuro del giornalismo che il coronavirus ha iniziato a costruire.
Giornalista professionista freelance. Dal 1983 collaboratore di testate locali e nazionali dai Castelli Romani per cronaca e sport. Presidente e docente dell’Università Popolare Castelli Romani, Ente terzo autorizzato dal Ministero della Giustizia alla Formazione professionale continua per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Consigliere dell’Inpgi e dell’Associazione stampa romana.
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