E niente, non ci stanno proprio. Non interessa loro un Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio che si dichiara, già a meno di ventiquattr’ore dalla sua elezione, nella sua prima intervista, «il Presidente di tutti», mettendosi subito al di fuori delle parti «dopo la legittima contrapposizione» della campagna elettorale; che vorrebbe «si mettessero da parte le divisioni e si cominciasse a ragionare insieme su cosa fare, sulla riforma che in fondo tutti vogliamo»; che «vuole stare dove c’è da prendere parte nelle cause per i colleghi e per l’informazione, sia gli uni che l’altra in grande affanno in questo momento».
Non interessa. Interessa loro solamente delegittimare la procedura elettorale, che però è stabilita dalla legge e sottoposta, come in tutti gli Enti di interesse pubblico, a rigorose verifiche e al controllo del Ministero della Giustizia. A loro interessa solo una cosa: scatenare la canea del web, inondando i social di post condivisi compulsivamente dai loro sostenitori, per screditare i sei (su nove) Consiglieri dell’Ordine regionale dei giornalisti del Lazio che hanno scelto liberamente di scrivere il nome di Guido D’Ubaldo nella loro scheda di votazione al momento di scegliere il nuovo Presidente.
Secondo loro, la mano di quei sei Consiglieri avrebbe dovuto essere obbligata a scrivere un altro nome. Quello a loro gradito, ovviamente. Questa è la visione della democrazia e delle regole di legge che, con un documento da loro sottoscritto e pubblicato sui social, hanno dimostrato di avere i restanti tre Consiglieri, i quali in virtù del loro incarico istituzionale dovrebbero però assicurare che tutti gli altri giornalisti del Lazio quella stessa legge la rispettino integralmente.
A sostegno della loro tesi, costoro portano l’argomentazione che nel turno di ballottaggio (previsto per i candidati che al turno precedente non abbiano raggiunto la maggioranza assoluta dei consensi) il loro candidato preferito, Carlo Picozza, ha ottenuto il maggior numero di voti (738), seguito da D’Ubaldo (636). Omettendo di ricordare, però, tre cose fondamentali:
1) la legge prevede che il Presidente lo eleggano i Consiglieri, non che venga eletto direttamente dalla platea degli elettori;
2) nel turno precedente, quando si doveva scegliere fra tutti gli iscritti all’Ordine regionale, D’Ubaldo ha prevalso, raccogliendo 482 voti, contro i 425 di Picozza;
3) loro considerano esclusivamente i voti degli iscritti professionisti, omettendo opportunisticamente di dire che il Presidente potrebbe anche essere un pubblicista (e in Consiglio i voti dei tre pubblicisti hanno lo stesso peso di quelli dei sei professionisti, su questa fattispecie come su tutte le altre) e quindi andrebbero conteggiati anche i voti raccolti dai candidati più votati di questa categoria professionale che (a fronte di nessun candidato pubblicista dichiaratosi a sostegno di Picozza Presidente) si sono espressi a sostegno di D’Ubaldo (quindi i 494 voti di Manuela Biancospino al ballottaggio oppure i 385 di Maurizio Lozzi se si considera il turno precedente).
Le giravolte verbali dei tre Consiglieri e dei loro sostenitori, piegando pure la logica dei numeri alla propria convenienza, non cambiano le regole democratiche. Che in questo caso sono stabilite dalla legge.
La legge numero 69 del 3 febbraio 1963 (la legge professionale dei giornalisti) prevede che tutti gli iscritti all’Ordine regionale eleggano i Consiglieri in due gruppi distinti, professionisti e pubblicisti, non che ci sia un’elezione diretta di un Presidente. Altrimenti avrebbe dovuto essere eletto tra tutti gli iscritti, in entrambi gli elenchi, che avrebbero dovuto votare insieme e non separatamente. Per cui non si possono usare solo i numeri dei professionisti, piegandoli al proprio ragionamento.
Infatti, il Presidente dell’Ordine regionale del Lazio in passato è stato un pubblicista: per un certo periodo di tempo Gino Falleri ha ricoperto quella carica, con Claudia Terracina (professionista) vicepresidente. Non è detto che il Presidente dell’Ordine regionale debba essere per forza un professionista: su questo le norme tra Ordine regionale e nazionale, per il quale si prevedono (art. 19 legge 69/63) obbligatoriamente un Presidente professionista e un Vicepresidente pubblicista, sono diverse. La legge, per questa fattispecie, prevede all’articolo 9: «Ciascun Consiglio elegge nel proprio seno un presidente, un vicepresidente, un segretario ed un tesoriere. Ove il presidente sia iscritto nell’elenco dei professionisti, il vicepresidente deve essere scelto tra i pubblicisti, e reciprocamente».
Quindi la legge, giustamente, chiede che i Consiglieri, eletti da un corpo elettorale diviso in due elenchi distinti, si mettano d’accordo tutti insieme per eleggere in Consiglio il Presidente. Che quindi viene eletto in seconda battuta, con i voti dei rappresentati eletti dai professionisti e dai pubblicisti. E così è stato.
La stessa cosa sarebbe successa, a ben guardare i voti (come riportati sopra), anche se il Presidente fosse stato eletto direttamente dagli iscritti alle due platee, professionisti e pubblicisti: Guido D’Ubaldo risulta avere una ipotetica somma di preferenze che lo avrebbe portato ad essere il più votato anche in caso di elezione diretta, sia al primo sia al secondo turno.
Non contano le argomentazioni pretestuose di chi ha perso una competizione democratica; contano le regole stabilite prima della partita. Che sono state rispettate. Come successo, esattamente, in precedenza al congresso dell’Associazione Stampa Romana, dove le liste che non hanno ottenuto la maggioranza relativa si sono accordate per eleggere in congresso un Segretario che non fa parte della lista che invece ha ottenuto più voti alle elezioni per il congresso stesso. Elezioni che, secondo lo Statuto del sindacato regionale, servono a scegliere i delegati al congresso, non il Segretario, che viene eletto dai delegati in congresso in seconda battuta.
Ma in quel caso, a coloro che oggi sbraitano sul web, questa stessa regola dell’elezione di secondo grado stava bene, guarda caso. Primo fra tutti, ovviamente, il beneficiario di questo criterio in congresso, il Segretario di Stampa Romana, Lazzaro Pappagallo. Che è fra coloro che più si stanno agitando sul web per tentare pretestuosamente di delegittimare il Presidente legittimamente eletto a rappresentare tutti i giornalisti del Lazio.
Eppure Pappagallo dovrebbe, ponderando parole e azioni, dimostrare di essere il Segretario del sindacato unico e unitario di tutti i giornalisti del Lazio, che in virtù del suo incarico istituzionale dovrebbe fare due cose: rispettare le altre istituzioni, prime fra tutte quelle previste da leggi dello Stato, e essere nei fatti e con le parole al fianco di tutti indistintamente i lavoratori che si affidano all’assistenza del sindacato da lui guidato, indipendentemente dal loro pensiero di parte. Un’eleganza e un garbo istituzionale che, invece, ha dimostrato D’Ubaldo, il “Presidente di tutti”, come ha tenuto a dichiarare subito, con la signorilità che lo ha sempre contraddistinto e che lo contraddistingue anche ora da chi avrebbe gradito invece un “Presidente amico” suo.
La democrazia non ammette interpretazioni a seconda della propria convenienza e, per dirla con una citazione cinematografica di Totò, “Signori si nasce”.
(Nella foto, tratta da un fermo immagine televisivo: Guido D’Ubaldo, Presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti del Lazio)
Giornalista professionista freelance. Dal 1983 collaboratore di testate locali e nazionali dai Castelli Romani per cronaca e sport. Presidente e docente dell’Università Popolare Castelli Romani, Ente terzo autorizzato dal Ministero della Giustizia alla Formazione professionale continua per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Consigliere dell’Inpgi e dell’Associazione stampa romana.
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